Anche nel lavoro creativo, l’AI si dimostra una costante onnipresente: testi, immagini e persino video generati in pochi secondi. La tentazione è pensare che basti un prompt efficace per sostituire sensibilità, intuizione e pensiero strategico. Ma non funziona così.
Puoi avere Photoshop, ma non diventi un designer.
Puoi generare uno slogan, ma non costruisci una marca.
Puoi automatizzare la delivery, ma non la direzione.
La strategia non si genera. Si sente.
Non fraintendiamoci: l’AI è uno straordinario alleato.
Velocizza i processi, riduce gli errori, aumenta la produttività. Ma non basta a creare valore.
Il vero punto non è cosa fa l’AI, ma chi la guida e come.
Un contenuto generato non è automaticamente strategico.
Il fattore umano resta insostituibile. Un’idea creativa non è tale se non nasce da un’intuizione rilevante, se non è inserita in un contesto preciso e se non rispecchia la sensibilità culturale dell'audience di riferimento. Il racconto di marca resta una prerogativa umana.
Nel nostro lavoro, la strategia è un atto di sensibilità culturale.
Non è solo questione di estetica, ma di connessione tra dati e intuizioni, insight e valori, identità e impatto.
L’AI può generare un testo, ma non riconosce un insight potente.
Può creare visual, ma non è in grado di interpretare una identità di marca, trasmettendola in maniera coerente.
Può aumentare le opzioni, ma non sceglie la strada giusta.
Ed è qui che entra in gioco il ruolo fondamentale del professionista umano:
-tradurre un brief in una visione coerente, non solo in output
-scegliere il tono di voce giusto, quello che si fa ricordare
-allenare lo sguardo critico per migliorare ciò che l’AI propone
-mantenere la rotta creativa e strategica in un contesto che cambia.
La combinazione vincente è la risultante della sinergia tra algoritmo e intelletto umano, quella che dà vita alla cosiddetta creatività aumentata.
Un esempio? I meme.
Molti nascono da immagini generate con l’AI, ma funzionano solo quando c’è un copy perfetto, un tempismo millimetrico, un tono di voce capace di parlare la lingua dei social.
Pensiamo al trend dei brainrot, animali ibridi generati dall’AI e battezzati con i nomi più assurdi.
Il nostro caso? La “Muccherelli timidonda vagabonda”, diventata virale per Migros.
Non è stata l’immagine a fare la differenza, ma il giusto wording, la lettura culturale, il contesto, l’idea giusta al momento giusto.
La creatività strategica non è mai caratterizzata da una mera esecuzione: è un’interpretazione.
L’AI produce. Il creativo decide, rifinisce, dà senso.
Non è una sfida tra AI e intelligenza umana.
È un patto virtuoso: efficienza + visione, automazione + sensibilità.
La tecnologia deve servire l’ingegno, non sostituirlo.
Perché anche nell’era dei prompt, delle immagini iper realistiche e dei contenuti istantanei, la vera creatività resta quella che lascia il segno.
Il futuro non si aspetta. Si crea.
Con strumenti nuovi, ma con lo stesso cuore.